Ansia lavorativa, ovvero ansia da prestazione sul lavoro. Ma anche paura di perderlo o di non trovarlo. Il lavoro è senz’altro tra le preoccupazioni più diffuse e cruciali. Ma è davvero il lavoro la fonte dell’angoscia? Non è così semplice. Vediamo perché.

Quando parliamo di ansia lavorativa dobbiamo innanzitutto ricordarci quanto già detto in precedenza in riferimento all’angoscia o ansia generalizzata: l’ansia è priva di cause oggettive. Per questo, per individuarne la dinamica che è squisitamente soggettiva, è importante ripercorrere la storia della persona che ne soffre. 

È questa l’unica strada da intraprendere per ritrovare il proprio benessere.

Lavoro: la fonte di ogni male?

Paradossalmente, focalizzare l’ansia sul lavoro potrebbe anche essere visto come un aspetto positivo: in fondo, se tutta la mia ansia deriva esclusivamente dal lavoro, questo potrebbe voler dire che fuori dall’ambito lavorativo mi sento una persona realizzata.

Ma ciò è davvero così? Lontano dal lavoro sono davvero un’altra persona? In ferie, in famiglia o con gli amici mi trasformo?

Pensiamoci bene: se il lavoro fosse l’unica fonte di guai, allora basterebbe organizzarmi e cercare un lavoro diverso, che meglio soddisfi le mie esigenze.

Come psicologo, quando le cose sembrano stare così, non parlo mai di ansia o di angoscia, ma invito la persona in questione a fare qualche colloquio, per capire meglio la natura delle sue aspirazioni e vedere insieme perché questo lavoro lo faccia sentire intrappolato.

I colloqui psicologici preliminari sono molto importanti: spesso, attraverso di essi, lo psicoanalista riesce ad intuire quale strada la persona vorrebbe e potrebbe intraprendere, pur non essendone consapevole. In questi casi, a volte è sufficiente un suggerimento, un semplice là, perché l’assistito faccia il passo.

È dunque così semplice uscire dall’ansia per il lavoro?

Parlare di ansia lavorativa, come di qualsiasi altra specificità, apre le porte alle situazioni più disparate: dalle fobie per oggetti specifici, a sintomatologie che potrebbero interessare il corpo e di conseguenza portare a somatizzazioni, fino a giungere all’angoscia vera e propria. Sono tutte manifestazioni di uno stesso problema originario: la persona non è più in grado di raggiungere la propria soddisfazione. Non la conosce, oppure non pensa di meritarla, oppure non crede che sia possibile ottenerla.

Per uscire dall’ansia lavorativa, così come da ogni forma di ansia, occorre ritrovare la dimensione della propria soddisfazione. Proprio come accadeva nella nostra prima infanzia.

Il bambino, fin dall’inizio della sua vita, è focalizzato sulla ricerca della soddisfazione e quindi su una meta da raggiungere. Il bambino  lavora sull’errore: si serve della memoria, vale a dire delle tracce (ricordi) di affetti che lo hanno interessato, per poter emettere un giudizio: “mi piace” oppure “non mi piace”.

Se perdiamo la capacità di emettere quel giudizio, perdiamo anche la capacità di ottenere soddisfazione.

 

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