I disturbi alimentari sono senz’altro tra le patologie in aumento negli ultimi decenni. Ma facciamo un passo indietro. Il bambino mangia per piacere e sta bene. Il suo pensiero sulle  proprie esigenze alimentari è all’altezza del pensiero di ciascuno, chiunque esso sia: egli incontra l’universo leggendolo e dicendolo con il principio di piacere integro e sano.

Quando nel bimbo prevale sul sano il massacro dell’idealismo educativo, del “mangia perché ti fa bene” delle teorie imposte, diventa possibile ogni riferimento alle teorie patogene più diverse.

Il bimbo viene accolto nella nostra società come un essere da istruire, come una lavagna su cui va scritto. Genitori e parenti impongono ciò che poi le istituzioni confermeranno: l’errore consiste nel teorizzare un troppo di sapere ed esaltare valori come doveri portanti della propria formazione. La correzione va fatta senza più teorizzare la volontà come perno intorno a cui ruota la scolastica dell’obbligo negando la norma soggettiva, bensì privilegiando l’interesse dello star bene del soggetto.

I vizi capitali compaiono in Aristotele che li definiva “gli abiti del male”. Al pari delle virtù i vizi derivano dalla ripetizione di azioni che formano in colui che li compie una sorta di mantello stereotipato che lo caratterizza in una direzione pre-definita. Nel medioevo i vizi sono visti come un’opposizione della volontà umana alla volontà divina: “il Signore ti vuole buono ed ubbidiente”.
Invece i vizi sono logici: essi risultano dall’applicazione della logica dei predicati alle proprietà umane: sei cattivo, sei grasso, sei piccolo, sei avaro…: che diventano con l’andar del tempo vizi morali, invece sono semplicemente un collage.

Si tratta di una enorme imposizione: sovra-posizione ostile fatta nei confronti di una persona senza difesa, ingenua, che non poteva non credere alle persone attorno che badavano a lui : ecco l’espropriazione e il non rispetto della norma soggettiva!
Il progetto di cura passa nel ritorno al centro dell’attenzione, ma non da solo.